Ecco una cosa che non mi sarei mai aspettato. Ti è mai capitato di fare uno di quei viaggi in macchina infiniti? Uno di quelli dove speri di avere compagnia per non morire di noia dopo tre ore passate in silenzio ad ascoltare la radio.
Ero a Bologna e dovevo rientrare a Roma dopo una cena di lavoro, che come al solito era finita tardissimo. Decido di rimanere a dormire li e ripartire il mattino successivo.
Dopo anni di sali e scendi per lo stivale, non ho ancora capito quale sia la scelta migliore in questi casi. Partire la sera con il sonno della notte o partire la mattina con il sonno per essermi svegliato presto. Forse la cosa migliore sarebbe dormire e basta. Mentre carico le valigie in macchina vedo un mio collaboratore che aspettava un taxi. L’ho guardato come un assetato guarderebbe un’oasi in mezzo al deserto.
Era la mia salvezza. Non avrei dovuto fare il viaggio da solo e avrei reso produttive le quattro ore che avremo passato insieme. Lo invito a fare la strada con me e accetta subito la proposta.
Parliamo di tutto. Famiglia, formazione, viaggi. Ma una storia in particolare mi colpisce.
Mi racconta di un viaggio in Russia, durato un intero anno, che aveva fatto quando aveva 18 anni e di un’avventura vissuta durante quel periodo, in una delle zone sperdute della Siberia. Una di quelle che nessun turista penserebbe mai di andare a visitare. Una mattina un suo amico del posto lo aveva convinto ad andare a pescare in un lago lì vicino. Nella steppa russa il termine “lì vicino” voleva dire farsi non meno di tre ore di camminata.
Il lago non era molto grande, ma l’acqua era verde cristallina e c’era un silenzio assoluto intorno. La città più vicina era a non so quanti chilometri. Tuttavia sulla riva c’era un pescatore, impegnato con la sua canna. Li accoglie con entusiasmo. Era il primo straniero che vedeva nella sua vita per cui lo aveva invitato a fine giornata a casa sua (tranquillo, non è una storia dell’orrore).
I due ragazzi cominciano a pescare, ma in tutto il pomeriggio non riescono a far abboccare nemmeno un singolo pesce. A fine giornata vanno alla casa del pescatore che quel giorno aveva pescato così tanto pesce da non sapere cosa farsene. In segno di accoglienza regala ai ragazzi tre pesci enormi! Tornati in paese, tentano di spacciare i pesci come frutto della loro abilità di pesca pesca, pavoneggiandosi della loro abilità. Questa storia appena descritta è uno specchio perfetto di alcuni comportamenti che puoi riscontrare nella nostra società. Ci sono persone, come il pescatore del racconto, che conoscono quei “segreti”, strategie figlie dell’esperienza, che non si imparano sul campo. Queste persone lavorano il giusto ma ottengono tanto. Delle volte il “tanto” è così tanto da averne anche in più per gli altri. Poi ci sono i “furbi” quelli che fanno tante azioni senza sapere come farle bene, improvvisando, spendendo tanta energia e raccogliendo poco o niente.
Cosa rimane da fare a una persona che dopo 5 ore di pesca non ha preso nemmeno un pesce? Per spiegarlo devo prima passarti una nozione su come funziona la nostra mente.
Cosa accade al nostro cervello quando proviamo un dolore cosi grande da non essere facilmente sopportato ?
“Negazione”.
Un esempio è quello che avviene in alcuni casi nella mente di chi ha subito un abuso o un forte trauma.
Claudio Foti ne parla nel suo libro “Il trauma dell’abuso tra negazione e riparazione”.
La mente per difendersi cerca di dimenticare la cosa e rimuove dalla parte conscia il ricordo per evitare un grande dolore.
È come se nel nostro cervello ci fosse un salvavita, identico a quello della corrente di casa: se la tensione è troppo alta e si rischia di prendere una forte scossa e quindi perdere la vita, il meccanismo interviene staccando completamente l’elettricità in tutta l’abitazione.
Per la mente è la stessa cosa. Forte dolore uguale rimozione del ricordo.
Ecco la spiegazione del finale della storia. Cosa accade alle persone quando vedono di aver fatto tanto e di non aver ottenuto risultati? Negano!
La negazione può esistere sotto diverse forme, una delle più subdole è quella di fare propri i risultati degli altri.
Ci sono alcuni genitori che dopo una serie di insuccessi smettono di vivere la propria vita propria e iniziano a vivere quella dei loro stessi figli. I loro pensieri si spostano da se stessi a fuori di se. I successi del figlio diventano i propri, così come le scelte. Vorrebbero che i figli “capissero” quello che loro non hanno potuto capire prima e avere quello che loro non hanno mai avuto la possibilità di avere o fare.
Ci sono coppie in cui lui o lei smettono di vivere la propria vita e vivono di riflesso la vita di chi gli sta accanto. Annullano completamente se stesse in funzione del partner. I successi del compagno diventano i propri. Smettono di occuparsi di se stessi e rinunciano a realizzare i propri sogni.
Accade anche ai giovani, i cosiddetti millenials. Dopo una vita di scelte fallimentari e di odio per lo studio, dopo tanti anni passati sui libri e pochissimo valore dato a se stessi sul campo, rinunciano a costruire la propria vita e fanno propria quella dei loro genitori. Si sentono grandi per risultati ottenuti da persone che non sono loro.
Si sentono già arrivati senza aver mai costruito nul- la di proprio pugno o pagato alcun prezzo. Sentirsi arrivati è un altro modo di morire nella propria vita e iniziare a cercare la felicità all’esterno.
Chiediti cosa accade alle vite di questi genitori quando il figlio diventa grande e decide di andare a vivere per conto proprio. Quando decide di fare le proprie scelte e seguire i propri sogni. Come si sentono? Felici, perché finalmente il ragazzo ha iniziato a camminare con le proprie gambe o soli e abbandonati ?
Stesso discorso vale per una coppia quando, dopo tanti anni che ci si è annullati, la relazione finisce. Ci si sente comunque ricchi, pieni e realizzati anche così oppure traditi, delusi e poveri?
Ecco qual è il problema. Non hai pescato nessun pesce, ma quando sei tornato a casa hai preso quello degli altri e lo hai spacciato per tuo. Hai “negato” la realtà. Hai smesso di occuparci di te stesso. Hai smesso di vivere la tua vita e ti sei appropriato di quella di qualcun altro. Quel giorno è come se una parte di te fosse morta e non te ne fossi accorto.
Mi sento in diritto di dirtelo perché mi è successo personalmente. Mi sono ritrovato a vent’anni a sentirmi arrivato. A pretendere come un diritto che i miei genitori mi sostenessero senza fare nulla per meritarmelo. Ho dato per scontato che quello che avevo fosse mio, anche se non avevo mai fatto nulla per guadagnarlo.
Ci sono stati momenti in cui ho vissuto più la vita della mia compagna che la mia. Sì, ho sbagliato. Ma ho maturato la consapevolezza che è normale fare errori. Ho capito che sbagliare è utile. È per questo che continuo a formarmi e a frequentare corsi di crescita personale. Ho imparato un concetto importantissimo.
Per prima cosa occupati di te e inizia a vivere la tua vita.
I corsi di crescita personale funzionano solo se mentre li fai compi un esame di coscienza. Non c’è modo più sbagliato per vivere la formazione che ascoltare quello che viene detto ai corsi e pensare alla vita degli altri. “Ecco questo servirebbe a mio padre, a mio figlio, alla mia ragazza”
Non sto dicendo che pensare agli altri sia sbagliato in termini assoluti, ma intendo che è sbagliato se lo fai prima di esserti occupati di te stesso.
Ogni volta che senti che ti stai allontanando da te e che il protagonista dei tuoi pensieri non sei più tu devi fermarti un attimo e ripartire da te.
In quel momento chiediti “Che cosa non voglio vedere di me? Che cosa sto negando?”Inizia da subito a occuparti di te in quell’ambito. Questo è ciò che ti farà crescere più velocemente.
Nella vita c’è sempre un divario tra dove sei e dove vorresti essere. Un margine che però non deve mai essere talmente grande da farti vivere una vita diversa da quella a cui ambiresti.
Per anni ho avuto un’immagine di me stesso nei confronti della vita come quella di un guerriero medievale delle ballate che scende in campo solo quando di tratta di dover conquistare una terra, prendersi un castello o conquistare una donna.
Ero convinto di dovermi battere per realizzare un grande sogno, comprarmi una bella casa e avere una bella ragazza.
Durante un corso però ho sentito una definizione diversa e l’ho fatta subito mia. Guerriero non è chi conquista gli altri, ma se stesso.
Da li la mia vita è cambiata.
Ho capito che non era importante quanti traguardi avrei raggiunto nella mia vita, ma chi sarei diventato nel realizzarle. Non conta il sogno che avevo ma l’uomo che forgiavo ogni giorno per raggiungerlo. Non importa quanto bella sia la vita delle persone che mi stanno a fianco ma conta molto di più l’uomo che sono per farle innamorare di me.
Da quel giorno la mia domanda guida non è stata più “Come posso piacere agli altri?” Ma “Come posso fare a innamorarmi di me mentre faccio questa cosa?”.
Ho smesso di spacciare i pesci degli altri come miei e mi sono dedicato anima e corpo per cercare di imparare e capire come avrei potuto pescarli io io.