Cosa significa vivere due anni negli Stati Uniti.

Da qualche mese sono tornato a vivere in Italia, dopo un’avventura di due anni in cui ho vissuto, lavorato e sognato nei meravigliosi  Stati  Uniti. In questo articolo vorrei, per quanto possibile, raccontarti cosa significa fare un cambiamento di questo tipo.

  • Imparare una lingua da zero
  • Lasciare tutto quello che avevi costruito
  • Ricominciare la tua carriera praticamente da zero
  • Inseguire un sogno
  • Ricostruire amicizie e relazioni

Probabilmente un articolo solo non mi basterà per raccontarti tutta la storia, ma in queste righe voglio cominciare dall’inizio, dalla decisione di partire, e dai primi tempi vissuti nel Nuovo Mondo. Se arriverai fino in fondo sono certo che saprai cogliere tanti consigli utili e tanti spunti di riflessione importanti per te. Leggendo ti renderai conto del valore che ha avuto per me decidere di formarmi con il corso Genio in 21 Giorni, decidere di collaborare e continuare a formarmi. Vivere in Florida per due anni e stata una delle esperienze più arricchenti della mia vita. Mi sono proprio dato l’opportunità di vivere un’avventura da sogno, di crescere, di imparare una lingua perfettamente, di alzare i miei standard, di arricchire il mio pensiero con una cultura e un modo nuovo di ragionare. Ho potuto vivere più da vicino tante realtà che prima vedevo solo nei film, conoscere da più vicino personalità di fama internazionale che prima erano gli eroi che seguivo sui social, e addirittura scoprire molti valori della cultura americana che non mi sarei aspettato, riguardo alla salute, al denaro, alle relazioni al contributo e al successo personale. Probabilmente a causa di questa mia esperienza, mi capita sempre più spesso di conoscere e parlare con persone che condividono con me il loro sogno nel cassetto di andarsene a vivere all’estero. Persone che si vogliono costruire una vita in qualche angolo remoto del mondo, molte che si lamentano e vogliono andarsene dall’Italia e da tutte le cose che qui non funzionano. Ogni volta è la stessa storia, parlo di me, dei due anni in Florida, e con le pupille dilatate mi ripetono quasi tutti le stesse frasi.

“Florida? Wow che figata, beato te!”

“Due anni in Florida? Ma è dove fanno CSI Miami? Maronna che invidia!”

“Piacerebbe anche a me, che culo che hai.”

La cosa più divertente è che quando vivevo in America e dicevo di essere straniero, la gente mi diceva lo stesso dell’Italia. Tutti che sognavano la vita in vacanza su uno yacht ormeggiato a Positano, mangiando frutti di mare, bevendo champagne e ascoltando Bocelli. Comunque il punto per me è che dovunque vai, sembra che il posto più figo sia da un’altra parte che per realizzare i tuoi sogni te ne devi andare chissà dove. Ho sempre più l’impressione che tra tutti quelli che dicono di volersi costruire una vita all’estero ci sia una distinzione tra due categorie di persone. Ci sono quelli che vogliono farlo per costruire, per creare qualcosa di più grande della propria realtà locale. Poi ci sono quelli che vogliono evitare qualcosa.

Gli Italians in fuga che sognano una vita lontana dal governo italiano, dai problemi dell’economia, della scuola italiana, dell’immigrazione clandestina, dalla disoccupazione, dalla scarsa educazione, dalla crisi e dalle ingiustizie. Se sei uno di questi, forse però non ti rendi conto che il problema non è il luogo dove vivi, e nemmeno il fatto che non hai il lavoro che vorresti, o nemmeno tutte le notizie che senti al telegiornale e ti fanno incazzare ogni giorno di più. Il motivo per cui la maggior parte della gente vuole andarsene a vivere da un’altra parte è solo e unicamente scappare. Scappare dallo stress, dalla noia, da quel senso di insoddisfazione continuo che si sente. Scappare dalla sensazione che tu avevi dei sogni grandi, ma non li stai realizzando per colpa di qualcosa. La dura verità però, te o devo dire, è che scappando non troverai la felicità e la realizzazione. Troverai solo gli stessi problemi di prima in un posto diverso. Mi ricordo ancora il periodo in cui io ho maturato la decisione di trasferirmi. Qualche anno fa ho iniziato a formarmi per diventare un istruttore di Genio in 21 Giorni, e per diversi mesi ho collaborato e lavorato a Milano.

Fin da subito ho sentito dentro di me il desiderio di portare tutto ciò che stavo imparando, a partire dalle tecniche di apprendimento fino a tutti i concetti che imparavo in collaborazione, ad un livello superiore. Credo profondamente che ciò che si impara al corso Genio, e tutte le abilita che si apprendono e sviluppano in collaborazione possano essere la svolta nella vita di una persona.

Proprio per questo nella mia mente l’idea di confinare questa crescita all’Italia mi sembrava limitante, e fu cosi che per la prima volta iniziai a pensare di fare tutto questo molto più in grande, di diventare un istruttore negli Stati Uniti, dove tutto viene fatto più “in grande”. (N.d.A. non è un luogo comune, ogni cosa è enorme negli USA, le corsie stradali, le gomme dei fuoristrada, i pacchi di spinaci al supermercato e i seggiolini per ciccioni sulle montagne russe). Quando venni coinvolto nel progetto America mi sentii davvero al settimo cielo, e per tutti i mesi durante i quali mi stavo preparando alla partenza ho continuato a visualizzare la mia nuova vita, a sognare e immaginare come sarebbe stato, a googlare la città in cui mi sarei trasferito, e forse anche a godere del fatto che mi sarei liberato di tutte quelle cose dell’Italia che mi piacevano poco. Senza che quasi me ne rendessi conto è poi arrivato il giorno della mia partenza, indimenticabile. Il 12 Maggio 2015 mi sono svegliato alle 5 di mattina con quella sensazione che hai il giorno in cui parti per le gite scolastiche, pero elevata all’ennesima potenza. Sapevo che dopo quel volo mi aspettava il mio sogno, la mia ragazza che non vedevo da tre mesi, una nuova vita e tante nuove esperienze entusiasmanti. Quello che non mi aspettavo erano gli ostacoli e le difficoltà che ho avuto all’inizio. Mi immaginavo avrei avuto da lavorare sodo, ma di certo non quello che è successo. Il primo grande ostacolo e stato senza ombra di dubbio la lingua.

Nonostante i mesi di preavviso, preso dalla quotidianità e dai mille impegni, il mio studio dell’inglese era stato praticamente inesistente. Insomma quando sono atterrato nell’aeroporto di Tampa, mi sono resoconto di sapere si e no 200 vocaboli di inglese, senza nessuna idea di come pronunciare in modo corretto, e senza alcuna capacita di capire gli strani suoni emessi dagli abitanti del luogo. Sono quasi certo di aver confessato all’ufficiale aeroportuale, di essere un pericoloso terrorista capace di memorizzare centinaia di numeri in pochi secondi, durante l’ispezione del passaporto. Il mattino seguente partecipando ad un incontro tra professionisti dove l’obiettivo era conoscersi e collaborare professionalmente, dopo due ore non avevo ancora chiaro il nome e il lavoro di nessuno dei partecipanti, sapevo solo che in media erano molto più grassi dei professionisti italiani. Inutile a dirsi ho cominciato a sentire un profondo senso di inadeguatezza, fondamentalmente mi sentivo un cretino. In una professione dove la capacita tecnica più importante è proprio la comunicazione, da un giorno all’altro mi sono ritrovato a non saper più fare nulla. Totalmente incapace. Le emozioni che vivevo più di frequente erano frustrazione e rabbia, mi sentivo come un leone in gabbia che non poteva tirare fuori la sua vera forza e grandezza. Questa frustrazione professionale si è poi propagata in altre aree della mi vita, ho cominciato ad essere un compagno meno presente nella mia relazione di coppia, e a sentire tanto la mancanza di casa. Per settimane mi svegliavo con un senso di tristezza, mi mancavano la mia famiglia, i miei amici fraterni, i collaboratori di Milano, tutte le persone che amavo. Insomma per descriverla in modo artistico ed erudito, la situazione era una merda. Dopo tanti anni di collaborazione e formazione però non mi davo per vinto, e ogni giorno cercavo di cambiare le cose, studiando inglese e impegnandomi per imparare quanto più velocemente possibile a fare le cose che fino a qualche settimana prima erano un gioco da ragazzi per me. Mi sono messo a memorizzare vocaboli come se non ci fosse un domani, a leggere libri in inglese e guardare film, ma i risultati non arrivavano e la mia conoscenza dell’inglese continuava ad essere davvero di scarsa qualità, cosi come le emozioni che ancora vivevo per la maggior parte del tempo.

In quei giorni mi sentivo come Sisifo, il re greco che dopo aver sfidato gli dei era stato condannato a spingere un enorme masso fino alla cima di una montagna, per poi vederlo rotolare fino alla base, e ricominciare da capo per l’eternità. Mi sentivo stupido e impotente, e questo mi faceva incazzare. Sapevo che di sicuro il mio non era un problema tecnico, insegnavo tecniche di memoria da anni e prima di partire ero capace di gestire quasi tutte le attività nella sede in cui i trovavo, ma ancora non mi spiegavo quale fosse il mio problema, ciò che mi stava ancora bloccando dopo più di un mese e mezzo dal mio arrivo.

Mi ricordo un giorno in cui mi sono rifiutato di tenere una presentazione personale del corso perché mi sembrava di parlare come Tarzan, e mi vergognavo. Quel giorno fu importantissimo per me, perché non essere in grado di fare ciò per cui mi ero trasferito mi fece provare un dolore fortissimo. Ero davvero deluso da me stesso, ma ringrazierò quel giorno per l resto della mia vita, perché quel dolore mi fece aprire gli occhi. In quel momento mi resi conto che il mio problema era ben più profondo della mediocrità nell’inglese. Mi resi conto che quella mediocrità era in realtà solo un sintomo di qualcos’altro. Il mio vero nemico era stato fino al quel momento il mio atteggiamento mentale, ciò che pensavo e il modo in cui lo pensavo. Continuavo a ripetermi una serie di giustificazioni e scuse per la mia mancanza di risultati. Mi dicevo che l’inglese era una lingua povera, che l’italiano era molto meglio, più ricco e descrittivo, che gli americani erano aridi e privi di emozioni, e la loro lingua rispecchiava questa modalità superficiale. Mi raccontavo che le persone li non sapevano stringere relazioni profonde come i collaboratori italiani, che le persone in giro per la città mi facevano sentire diverso perché ero straniero. Mi sembrava che nessuno stesse facendo niente per aiutarmi, e che anzi tutto il processo burocratico di immigrazione fosse estremamente difficile e complicato, che forse non ne valeva la pena, che forse dovevo tornarmene a casa e che ero stato un illuso a pensare di poter davvero costruire il mio sogno e fare le cose in grande. Sotto sotto avevo anche paura di non essere in grado di poterlo fare, che sarebbe stato troppo difficile o addirittura impossibile.

Insomma dietro a quelle difficoltà di pronuncia dei vocaboli c’era molto di più. E questa consapevolezza dovrebbe aiutare anche te, ogni volta che ti lamenti delle condizioni in cui ti trovi, o non ottieni i risultati che vorresti.

Ogni volta che ti viene voglia di scappare dall’altra parte del mondo perché “L’ITAGLIA FA SKIFO”, dovresti ricordarti che forse il problema non è fuori. Il problema non è il governo, l’università, i professori incompetenti o tutto quello che non ti va bene. Forse quello che andrebbe corretto è dentro di te. Di fronte a tutti quegli ostacoli mi sono reso conto che fino a quel giorno mi ero sentito piccolo, e che avevo bisogno di crescere e diventare un uomo, ancora di più.

Mi sono accorto che dovevo tirare fuori le palle e migliorare. Dovevo alzare le aspettative nei confronti di me stesso. Mi sono reso conto che dall’alto delle mie lamentele sull’America e gli americani io non avevo costruito nulla, che c’erano ragazzini con la metà dei miei anni che parlavano 3 lingue perfettamente e che avevano molto più successo di me a livello professionale.

Più di tutto ho preso la decisione che se avessi voluto continuare a vivere lì, avrei dovuto prima di tutto aprirmi e accettare le differenze in quella nuova cultura, essere umile e farle diventare parte di me. Ho capito che se volevo veramente fare la differenza per qualcuno dovevo innanzitutto accet- tarlo e capirlo, prima di poter dare qualcosa. Da quel momento in avanti, come per magia, tutto cambiò. Improvvisamente gli esercizi per migliorare la pronuncia mi venivano facili, e mi divertivo pure. Andavo ad un meeting o tenevo una presentazione, e la gente anche senza capire cosa dicevo si innamorava di me e di quello che facevo. Mi ricordo un giorno di aver parlato con una ragazza che mi aveva fatto conoscere sua mamma, perché era stupita da un esercizio di memorizzazione che le avevo mostrato e voleva saperne di più.

Dopo circa un’ora non ero riuscito a dire molto più di: il corso è troppo importante. Avrò ripetuto la parola importante cento volte, con gli occhi da incantatore di cobra e la bava alla bocca, senza molti altri vocaboli per poterle dire più di questo riguardo al corso. Non so come ma dopo quell’ora di follia la madre di questa ragazza ha deciso di iscriversi al corso, insieme alla figlia e al marito, investendo più di cinquemila dollari solo per l’intensità con cui le avevo parlato.

In quel momento faticavo a crederci, e forse questa signora non sapeva nemmeno bene quello che stesse facendo, ma per me fu un riferimento importantissimo. Mi rendo conto a distanza di tempo di come quel giorno la signora non ha solo deciso di vivere un’esperienza bellissima e utilissima, ma ha deciso di riaccendere la fiamma del mio sogno. Quell’episodio era diventato la prova che potevo compensare tutte le mie mancanze tecniche iniziali con tanta energia e tanto impegno, e che comunque questi venivano trasmessi alle persone. La lingua dei sogni è universale, e io avevo finalmente imparato a parlarla. Una delle più grandi lezioni che mi ha insegnato vivere all’estero e che ciò che conta veramente non sono le condizioni esterne in cui ti trovi, ma sei tu. Ciò che fa veramente la differeza è quello che pensi di te stesso, e la tua voglia  di fare la differenza per chi ti sta intorno, la tua voglia di essere ogni giorno la nuova versione del tuo miglior te stesso e di crescere. Per questo sono convinto che la collaborazione mi abbia permesso di vivere quel sogno, perché non ci sono altri ambienti che conosco che ti permettano allo stesso modo di sviluppare queste capacità. Non so se il tuo sogno sia di restare in Italia o vivere all’estero, ma sono sicuro che se impari a credere delle cose migliori su di te, che se impari a stare con    le persone, a connetterti a loro e a capirle meglio, a costruire relazioni e a migliorarti costantemente, sarai felice e realizzato ovunque tu sia.

Avrei altre mille storie da raccontarti sulle mie avventure americane, come quella volta in cui cercando una spiaggia ho chiesto ad un passante dove si trovavano le prostitute migliori della città. No, non è per quello che pensi, ma te le racconterò la prossima volta.

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